Il 18 aprile appena trascorso è mancato a 89 anni, dopo lunga malattia, Fulvio Roiter; uno dei più significativi fotografi italiani, legato per sempre alle più "durevoli" e intimamente vissute immagini fotografiche di Venezia, con quelle di Ernst Haas.

Fotografò sempre in pellicola, in simbiosi con la sua Leicaflex; per circa un quarto di secolo solo in bianco e nero,

poi dagli anni Settanta quando giudicò il materiale sensibile adeguatamente maturo adottò senza esitazioni il colore.

Non utilizzò per i propri lavori mai attrezzature digitali, di cui peraltro dichiarò di apprezzare la praticità.

Già nel 1956 vinse in Francia il prestigioso premio Nadar, con un libro che gli era stato commissionato dalla Guilde du Livre di Losanna sull’Umbria di San Francesco dal titolo titolo “Ombrie”.
Da lì in poi una lunga serie di straordinari reportage di ambiente e di viaggio: percorse appositamente praticamente tutta a bordo di un ciclomotore la Sicilia; e poi l’Andalusia, il Brasile e l’Amazzonia, dove dalla primavera 1959, restò a girovagare nove mesi, e dove nonostante ciò tornerà più volte; poi ricordiamo anche i suoi memorabili libri fotografici sulla Persia del 1964, sulla Turchia l'anno seguente, il Messico (1966); l'anno successivo ('67) è in Libano, e a metà degli anni ’70 percorre per ogni dove l’Africa equatoriale lasciandoci le immagini icona dei villaggi della Costa d’Avorio, le danze rituali dei Watussi e nello Zaire i pigmei.

Gli debbo personalmente molto, son certo che ha influenzato non poco il mio modo di vedere la fotografia di viaggio, ed il mio modo stesso di viaggiare.

Ora vado oltre la commemorazione alla quale mi associo.
Era uscito di scena da tempo o sbaglio? Nel senso che il suo lavoro forse lo si colloca bene negli anni 80-90 in cui ha avuto tanta fortuna poi è un po' "passato di moda" senza più essere recuperato come invece è successo ad esempio a Fontana che lo si ritrova ancora in Artefiera (per quello che vale) e in qualche nuovo libro di foto vecchie. Forse perchè non si è mai collocato come artista ma come "semplice fotografo" e questo lo ha penalizzato? Oppure sono i misteri del mercato dell'arte che decretano per taluni l'immortalità per altri l'oblio...

E' stato un grande fotografo e narratore visivo, anche secondo me sottovalutato rispetto a certi colleghi.

Le sue fotografie raccontavano, ma lo facevano con garbo, eleganza e rispetto per il soggetto. Uno stile che non ritrovo più oggi, tranne forse qualcosina in Salgado (ma anche lui mi pare molto attratto dalla spettacolarizzazione).

Fer

[QUOTE] Oppure sono i misteri del mercato dell'arte che decretano per taluni l'immortalità per altri l'oblio...[/QUOTE]

Comunque Essere Venezia, rifiutato da Mondadori che pensava che fosse commercialmente "sbagliato" (grande formato orizzontale scomodissimo da inserire in uno scaffale di una libreria, tutto a colori ed anche a volte deliberatamente piuttosto saturi in anni in cui un fotografo "autore" si dava per scontato pubblicasse solo raffinati lavori in B/N) credo abbia sfiorato il milione di copie...

E lui è morto a 89 anni, dubito potesse zompettare attraverso l'Amazzonia sino all'ultimo.

Certo non dico che dovesse lui fare foto fino ad oggi ma guarda ad esempio a Giacomelli morto da 15 anni ancora venduto, per non parlare di Ghirri etc...Parlo di fortuna critica ancora attuale.

Roiter è stato, insieme a Mauro Galligani, il motivo per il quale ho intrapreso questa professione.

L'ho conosciuto personalmente nei primi anni '80 perchè avevo fondato un circolo fotografico che aveva la sede a Lido di Venezia e lui a Lido ci abitava (vicino alla mostra del Cinema). E' venuto a trovarci un paio di volte per serate indimenticabili in cui ci raccontava degli inizi della sua carriera, dei suoi primi lavori. Vinse la seconda edizione dell'importante premio Nadar in Francia nel '56, e lì fu l'inizio della sua lunga carriera.

Ci raccontava di come si erano evoluti i due libri che lo hanno reso famoso al grande pubblico in tutto il mondo: Essere Venezia e Laguna, delle lunghe sedute con gli stampatori svizzeri e della qualità del loro lavoro. Usava all'epoca una Leica R3 safari che ci fece vedere. Acquistava le sue attrezzature Leitz da Tokatzian a Venezia in piazza S. Marco e ci parlò di un obiettivo di cui era invaghito: il 180mm Apo Telit con cui aveva realizzato molti scatti dei libri citati.

L'insegnamento di cui ho fatto tesoro è stato proprio in quella sede quando ci disse: tagliate gli elementi superflui nella inquadratura, fatelo magari anche in stampa, perchè la forza della immagine sta nella sua essenzialità.

Come spesso succede nessuno è profeta in patria e ho sentito da troppi veneziani un minore apprezzamento di quello che meritava, forse per il suo carattere assai estroverso e innamorato del suo lavoro per cui bastava soltanto accennare all'argomento, che come un torrente in piena ne parlava senza mai stancarsi.

Rimangono i suoi lavori conosciuti in tutto il mondo e questa è la sua immortalità.

Metto il link a quella che probabilmente è stata la sua ultima intervista in occasione della mostra personale a Bassano del Grappa dal 31/10/2015 al 1/1/2016, quasi novantenne.

Ci lascia un epigrafo scolpito nella memoria con la sua ultima frase:
-..è tipico della fotografia fermare l'attimo..-

in questa frase è condensato il suo concetto di fotografia: per il fotografo è saper vedere e prevedere. Saper cogliere al volo la casualità quando si combina con la fortuna di esserci, per cogliere un attimo irripetibile. Ben diverso da quello di tanti fotografi che la scena la costruivano come ad esempio Doisneau.

Parla in maniera semplice, quasi da vecchio contadino veneto lasciando campo libero ai termini e inflessioni dialettali, con qualche pausa per riordinare le idee, ancora lucide per l'età.

Qui

Grazie per la affascinante testimonianza.

Marco

bello il video grazie! una persona d'altri tempi !

Bel video, grazie per averlo postato!

Ringrazio Marco (Pamar5), Oscar che già sapevo frequentasse qui, e Roberto, felicissimo di sapere che qui ritrovo anche lui.