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COME MONTARE LE STAMPE
 

COME MONTARE LE STAMPE

Non mi stancherò mai di sottolineare abbastanza il fatto che la scelta di come decidiamo di montare le nostre stampe sia una scelta importantissima, allo stesso livello di importanza di tutte le scelte tecniche e creative che ci hanno guidato attraverso la fase di ripresa a quella della stampa finale, e a maggior ragione se pensiamo che il metodo con cui decidiamo di montare i nostri lavori ne influisce e ne determina la loro percezione finale, soprattutto se ci rivolgiamo alle gallerie ed ambiamo ad esporre i nostri lavori, solo una volta montata la stampa può essere considerata un prodotto finito, un oggetto d’arte completo.

Oggi esistono sostanzialmente tre metodi per montare una stampa fotografica, ed in questo articolo cercherò di analizzarli uno ad uno mettendo in evidenza le differenti, precipue, caratteristiche, senza trascurare anche l’aspetto della archiviabilità che è un fattore importante per chi intenda commercializzare i propri lavori.

 

 

METODO "CLASSICO": PASSE-PARTOUT, VETRO E CORNICE

 

Inutile dire che questo metodo è di diretta derivazione dal mondo della pittura.

La stampa fotografica viene montata su un passe-partout di cartoncino che ha la funzione di impedire il contatto diretto della stampa stessa con il vetro della cornice, cornice che generalmente è di legno ma potrebbe anche essere di materiali meno "nobili", come ad esempio alluminio o plastica.

In sostanza si tratta di una specie di gioco ad incastri, o scatole cinesi, in cui la stampa viene attaccata al passe-partout (poi vedremo con quali materiali), che poi sua volta viene inserito in una struttura composta da una cornice e da un vetro, entrambi con funzione protettiva (oltre che estetica).

Per chi predilige questo metodo è importante che il passe-partout sia di tipo "museale", cioè un cartoncino di colore bianco-conservazione, in cellulosa al 100% e a pH neutro, e questo perché una volta inserita la stampa all’interno della cornice, e creato quindi quella specie di ambiente "chiuso" tra vetro e dorso su cui poggia la stampa, il colore bianco-conservazione non presenterà ingiallimenti nel corso tempo e l’assenza di acidi, che potrebbero evaporare a causa degli agenti ambientali e danneggiare la stampa, sarà una garanzia in più per la sua archiviabilità.

Per fini estetici e creativi non è escluso che si possa decidere di utilizzare dei passe-partout colorati o in cui sono stati applicati degli agenti chimici sbiancanti, ma in questo caso non è garantita la stessa archiviabilità che si avrebbe con i passe-partout "museali".

Ovviamente è altrettanto importante che i materiale che utilizziamo per attaccare la stampa al passe-partout, solitamente un nastro adesivo, abbia le stesse caratteristiche di archiviabilità, e quindi dovrà essere in carta bianca senza lignina e che sia progettato per non rilasciare né acidi né adesivi nel tempo.

Così come deve essere un cartoncino a pH neutro quello che viene utilizzato come "dorso" posteriore su cui appoggia la stampa.

Solitamente questi prodotti sono utilizzati da tutti i corniciai, quindi se ci affidiamo a loro andiamo sul sicuro, ma nel caso invece che uno volesse provare a montare da solo la sua stampa è utile sapere che sono facilmente reperibili nei negozi di belle arti.

Un’altra regola importante è che il passe-partout, nella parte interna, sia tagliato con un angolo a smusso di 45°, questo è considerato lo standard espositivo a livello museale.

Per fare questo i corniciai hanno delle taglierine professionali ad uso industriale che rendono l’effettuazione del taglio una faccenda molto semplice e veloce, anche se in commercio esistono taglierine molto meno costose che possono essere utilizzate da chi volesse effettuare questa operazione di taglio da solo ed in completa autonomia, con un po' di pratica è possibile ottenere buoni risultati.

Ultima voce da analizzare al capitolo "archiviabilità/protezione delle stampe", è quella del vetro.

E’ importante che il vetro utilizzato sia del tipo che contenga un filtro anti UV, in modo da proteggere la stampa dalla azione, che è sempre degenerativa e dannosa, di qualsiasi fonte di luce.

Attenzione perché i vetri comunemente utilizzati dai corniciai di solito hanno un filtro anti UV che è in grado di bloccare solo il 40/45% dei raggi ultravioletti dannosi, e quindi non sono considerati archiviabili.

Gli unici vetri considerati "museali", o "conservativi", sono quelli che sono stati sottoposti ad trattamento superficiale invisibile a base di silicio, uno strato di spessore infinitesimale che mantiene inalterate nel tempo le sue proprietà filtranti, e che è in grado di bloccare il 97% dei raggi ultravioletti dannosi, quelli cioè compresi tra i 300 ed i 380 nano metri.

Tra i prodotti appartenenti a questa categoria sono sicuramente da preferire i vetri che, oltre al trattamento al silicio anti UV, hanno anche avuto un trattamento antiriflesso, detti anche "vetri invisibili", al fine di evitare quei fastidiosi riflessi passivi di origine ambientale e che rendono difficoltosa la visione e la piena fruizione dell’opera d’arte.

Personalmente trovo che montare le proprie stampe con il metodo "classico, passe-partout/vetro/cornice, sia particolarmente indicato per la fotografia di paesaggio, quella naturalistica e per le stampe monocromatiche fine art, mi piace nella stragrande maggioranza dei casi sia la resa estetica che il fatto che la presenza di una cornice, ed un passe-partout, che delimitano l’immagine, riesca quasi sempre a valorizzare maggiormente questi soggetti.

 

 

LAMINAZIONE E PLASTIFICAZIONE

Il dorso della stampa viene incollato su una superficie rigida utilizzando una colla archiviabile ed un procedimento "a freddo" (laminazione), poi sul fronte della stampa, il lato dove è presente l’immagine, viene incollato un foglio trasparente di un materiale plastico che protegge la stampa dai raggi UV e dalla possibilità di danni ambientali (plastificazione), ovviamente sempre utilizzando un procedimento "a freddo" ed una colla che risponda a standard di archiviabilità..

Il materiale rigido su cui viene laminata la stampa viene solitamente scelto dal fotografo, e non esistono limitazioni i merito, nel senso che può andare bene qualsiasi tipo di materiale, dal legno ai materiali plastici rigidi, dal metallo al cartone, è solo una scelta estetica e, perché no, magari legata alla natura delle nostre immagini, a come vogliamo che siano presentate.

Di solito vengono utilizzati pannelli di alluminio, gatofoam (schiuma di polistirene), forex (un pvc semi espanso), masonite, Dibond (un materiale a "sandwich", composto da un "cuore" di polietilene e due sottilissimi pannelli di alluminio), plexiglass, però come dicevo possono andare benissimo anche altri materiali, alla fine è solo una scelta estetica personale.

Quello che mi sento di consigliarvi è di scegliere dei materiali rigidi, e questo per evitare che con il passare del tempo il pannello si "imbarchi" o si incurvi ai lati, cosa che solitamente succede con alcuni supproti.

Personalmente io e Cristina utilizziamo il Dibond da 2 o 3mm. che, oltre ad essere molto rigido, ha anche un limitatissimo coefficiente di espansione, e questo dona indeformabilità e solidità alle nostre immagini montate.

La plastificazione invece viene effettuata dalla maggioranza dei laboratori fotografici utilizzando dei fogli trasparenti di PVC, disponibili in tre versioni: lucida, satin e opaca.

I fogli di PVC hanno un filtro anti UV che è in grado di bloccare il 98% delle radiazioni luminose dannose, e sono antigraffio, cioè hanno una straordinaria resistenza ai possibili danni di natura accidentale, o vandalica, arrecati alle stampe.

Le stampe plastificate poi sono estremamente facili da pulire, non temono ovviamente il contatto diretto con l’acqua, e sono anche poco soggette ad essere "marchiate" da impronte digitali nel caso vengano maneggiate o toccate in qualche modo.

Anche in questo caso la scelta di utilizzare un foglio di PVC lucido, satin o opaco, è puramente estetica e personale, dipende molto da come vogliamo che appaiano le nostre stampe o dalle condizioni espositive delle stesse.

Generalmente si predilige la versione opaca, e questo perché ha l’enorme pregio di eliminare completamente i riflessi parassiti ambientali che spesso impediscono una piena e completa visone delle stampe esposte, però è anche vero che il foglio di PVC opaco assorbe più degli altri la luce ambientale e le stampe appaiono inevitabilmente un po' meno luminose rispetto a quelle montate con PVC semi lucido o lucido.

D’altra parte il foglio di PVC lucido riflette eccessivamente l’ambiente circostante, esattamente come un vetro che non abbia subito un trattamento antiriflesso, e conferisce inoltre alle stampe, alla saturazione dei colori, un aspetto un po' "plasticoso".

Per molti la soluzione ideale è quella di utilizzare un foglio di PVC satin, l’effetto è sicuramente più piacevole e "naturale" rispetto alla versione lucida, solo che il satin non è utilizzato da tutti i laboratori e comunque il livello di riflettenza delle luci ambientali è sempre presente, anche se in misura minore.

Ancora una volta non esiste una scelta ideale o giusta, dipende molto dalla natura delle nostre immagini, dalle condizioni di esposizione, dai gusti personali.

Io e Cristina utilizziamo da tempo e con soddisfazione la plastificazione opaca, ci piace molto sia l’effetto visivo e di presentazione, anche se, come dicevo prima, toglie un po' di brillantezza alle immagini, però gli dona anche una specie di "setosa" ruvidezza che bene si addice ai nostri soggetti, e sia il fatto che puoi esporre i tuoi lavori in qualsiasi ambiente e con qualasiai condizione di luce senza doverti preoccupare dei riflessi parassiti.

La laminazione e plastificazione delle stampe è molto probabilmente il sistema di montaggio più diffuso ed utilizzato oggi.

Effettivamente i lavori montati in questo modo sono molto eleganti, efficaci, essenziali, si ha come la sensazione di entrare direttamente nell’immagine, di poterla "assaggiare" con la vista, e questo rispettando tutte le garanzie di archiviabilità, non stupisce quindi che sia il sistema di montaggio prediletto da tanti fotografi.

 

 

 

 

DIASEC

 

Il Diasec è un metodo brevettato, e che quindi richiede una apposita licenza per essere utilizzato, che consente di incollare "a sandwich" una stampa tra due materiali rigidi.

Solitamente il lato superiore della stampa, quello in cui è presente l’immagine, viene incollato ad un pannello di plexiglass, anche se è possibile utilizzare un pannello di policarbonato o addirittura una lastra di vetro, mentre il dorso può essere incollato sia ad un altro pannello di plexiglass così come all’alluminio o al Dibond.
Per il fatto che, nella maggioranza dei casi, si predilige il plexiglass come materiale su cui montare le stampe, le parole Diasec e plexiglass sono diventati come dei sinonimi nell’uso comune, ma in realtà non è così, essendo Diasec solamente un metodo brevettato per incollare a sandwich due superfici (di qualsiasi natura e materiale), utilizzando due componenti liquidi che aderiscono alle superfici per una reazione chimica e senza quindi l’utilizzo di colle.

Tanto più che esistono degli altri sistemi per montare le stampe con il plexiglass, chiamati Plexiprint o Pleximontage, che non hanno niente a che vedere con il Diasec dal momento che utilizzano dei "normali" collanti e non il metodo brevettato Diasec.

Ma perché questa predilezione da parte di molti fotografi per il Diasec ed il montaggio con il plexiglass?
E’ presto detto: da studi effettuati è stato dimostrato che le due componenti liquide utilizzate per incollare i vari materiali con il metodo Diasec abbiano una migliore resistenza al calore ed alla luce, in una parola sono più archiviabili, rispetto alle normali colle utilizzate anche per la plastificazione/laminazione o per il Plexiprint/Pleximontage.

Il plexiglass poi, dal momento che ha una maggiore capacità di trasmettere la luce rispetto al vetro, incrementa sensibilmente sia il contrasto dei colori che la resa visiva dei dettagli, conferendo alle immagini una nuova, a volte impressionante, profondità.

Questo è particolarmente vero quando si usa un tipo di plexiglass chiamato High Gloss, è come se le immagini fossero più tridimensionali, anche se questo tipo di plexiglass ha il difetto di riflettere tutte le luci parassite ambientali, essendo per l’appunto una superficie molto lucida.

E’ per questo che molti fotografi preferiscono utilizzare un plexiglass anti riflesso, che però enfatizza meno quell’effetto di maggiore profondità dell’immagine di cui parlavo sopra, così come altri si rivolgono anche a plexiglass opachi, anche se a mio parere in questo caso i risultati sono pessimi, è come se l’immagine si "spegnesse" e in maniera molto più accentuata rispetto alla plastificazione opaca, probabilmente questo è dovuto al maggiore spessore di un pannello di plexiglass, minimo 2mm., rispetto al foglio di pvc utilizzato per plastificare, e quindi al maggiore assorbimento di luce.

Ovviamente i pannelli di plexiglass sono dotati di un filtro anti UV, che nel caso specifico è capace di bloccare il 99,7% delle radiazioni dannose, quindi paragonato ad altri metodi di montaggio il plexiglass con filtro anti UV è il materiale che fornisce in assoluto la maggiore protezione dagli effetti dannosi della luce.

Bisogna segnalare però che il metodo Diasec non è particolarmente indicato per montare le stampe inkjet, dal momento che con questo tipo di stampe si sono riscontrati dei problemi di aderenza tra la superficie della stampa ed il plexiglass, anche se alcuni dei laboratori che utilizzano questo metodo brevettato hanno risolto l’inconveniente plastificando prima la stampa con un foglio di pvc e poi utilizzando poi il Diasec per farla aderire al supporto prescelto, plexiglass o vetro che sia.

Ovviamento questo foglio di pvc introduce un maggiore assorbimento della luce che diminuisce un pò quell’effetto di maggiore profondità dell’immagine di cui parlavo prima.

Purtroppo il Diasec è un metodo di montaggio molto costoso, mediamente costa 4 o 5 volte di più della laminazione/plastificazione, anche se i risultati possono giustificare una tale spesa.

Infatti l’accoppiata Diasec/plexiglass High Gloss è in grado di dare risultati sorprendenti soprattutto nella fotografia a colori, le stampe veramente acquistano una maggiore profondità ed i colori una nuova vita, mentre invece nel bianco e nero gli esiti sono più controversi, personalmente le stampe monocromatiche montate sotto un pannello di plexiglass non mi hanno mai convinto, anziché guadagnare in tridimensionalità mi sembra che guadagnino solo in "plasticosità", senza considerare che perdono anche quell’aspetto tattile che per me è così importante nelle stampe in bianco e nero.

Marco Frigerio  © 2/2006

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